Lingue nel mondo e glottocronologia

Le lingue che si utilizzano sul nostro pianeta sono il risultato di grandi migrazioni compiutesi nei millenni. L’archeologia si è rivelata insufficiente a ricostruire la storia (e la preistoria) dell’uomo. In suo aiuto è venuta la genetica, tramite l’analisi dell’immenso archivio storico celato nel nostro DNA.

Lo scienziato italiano Francesco Cavalli Sforza, basandosi sull’analisi dei geni umani, ha svolto studi volti ad approfondire l’ordine in cui sono disposti all’interno delle cellule umane (e delle 23 paia di cromosomi contenuti nel nucleo) i 3 miliardi di nucleotidi che costituiscono il DNA.

Ora, lo studio dell’evoluzione umana basato sulla storia dell’evoluzione delle lingue presenta forti analogie con quello svolto con gli strumenti della genetica, tanto da condurre ad un albero dell’evoluzione delle lingue che corrisponde perfettamente a quello della genetica.

In base a tali ricerche, gli studiosi ritengono che i 6.000 idiomi parlati oggi nel mondo abbiano un’unica origine, risalente all’Africa tra i 100 e 200 mila anni fa.

Per datare la separazione tra diversi idiomi, la linguistica usa un metodo analogo a quello dell’orologio molecolare: la glottocronologia.

Il primo ad applicare tale metodologia, fu un giudice inglese, Sir William Jones, due secoli fa, comparando il Sanscrito, lingua nella quale sono scritti molti testi indiani antichi, con il Greco e con i Latino. Egli affermava: “Nessuno può fare a meno di convincersi che provengano tutte da una sola lingua comune”.

La glottocronologia si basa sul confronto dei termini, la cui datazione viene effettuata basandosi sul numero di parole (equivalenti ai geni dell’orologio molecolare) differenti tra le due lingue e sul tempo medio stimato occorrente per un cambiamento semantico (in base a tale criterio, due lingue aventi il 74% di parole affini, dovrebbero secondo essersi separate circa 1000 anni fa).

Se si paragona il numero tre nelle diverse lingue, si vede che si dice tres (Latino), treis (Greco), tryas (Sanscrito), three (Inglese), drei (Tedesco), trois (Francese), tres (Spagnolo). L’esistenza di una radice comune è innegabile. Se si accresce il novero delle parole poste a confronto, si risale ad analogie tra lingue anche molto differenti: ad esempio, il Norvegese ed il Tedesco sono nati dal Germanico, il Bretone, il Gallese e l’Irlandese provengono dal Celtico, mentre il Sanscrito, l’Afgano e l’Hindi hanno un progenitore comune Indoiraniano. Confrontando alcune parole, le analogie diventano impressionanti: fratello si dice bhrater in Sanscrito, brother in Inglese, brathir in Irlandese, phrater in Greco, frater in Latino, frére in Francese, hermano in Spagnolo. Seguendo tale strada si giunge a dimostrare che dozzine di lingue, tra cui Inglese, Svedese, Russo, Persiano, Gallese, Lituano e Italiano derivano da un protolinguaggio indoeuropeo parlato parlato all’incirca 8.000 anni fa, prima dell’invenzione della scrittura, in Anatolia (poi diffusosi in Europa, come abbiamo raccontato in altra pagina web).

La ricostruzione di altre lingue ancestrali avviene alla stessa stregua. La comparazione tra l’Arabo moderno e dialetti locali del Nord Africa e della valle del Tigri e dell’Eufrate ha consentito di indivuduare un altro protolinguaggio: l’antico Afroasiatico. Il confronto tra Giapponese e Coreano hanno permesso la ricostruzione del protolinguaggio Altico.

Partendo da questi tre protolinguaggi, i sovietici Vladislav Ilyc Svitch e Aaron Dogropolsky hanno tentato di dimostrare che i tre protolinguaggi europeo, africano ed asiatico derivino a loro volta da un linguaggio ancora più antico, il Nostratico. Ad esempio, kuyna (Nostratico), cane o lupo, si dice canis in Latino, hund in Tedesco, hound segugio in Inglese. Ed ancora, majira (Nostratico), giovane uomo, è merio in Indoeuropeo, mari in Francese, marito in Italiano, marry sposare in Inglese.

Oltreoceano, Joseph Greenberg della Stanford University, paragonando le lingue degli indigeni americani, ha individuato tre grandi famiglie: l’Amerinda, che include tutte le lingue parlate nel continente americano, il Nadene, relativo al linguaggio dei Navajo e degli apache del Nord ovest e quella degli Eschimesi.

Ma il passo più grande, verso la ricostruzione della lingua madre universale, parlata dai nostri antenati nella Rift Valley, l’enorme valle che attraversa l’Africa Nordorientale, lo stanno compiendo due altri studiosi:

  • Vitaly Sheveroskin, glottologo russo docente presso l’Università del Michigan, sta paragonando il Nostraico e l’Amerindio, ricostruendo alcuni frammenti della lingua universale originale: lapa (Nostraico), figlia, assomiglia a tipa (Denecaucasico) ed a dap (Amerindio); e kuni (Amerindio), donna è identica all’equivalente Nostratico ed assai simile a queen (Inglese), regina, la donna per eccellenza;
  • Joseph Greenberg ha individuato almeno una radice (altre 30 sono allo studio) che sembra comune a tutte le lingue: l’etimo “tik” (nel significato di dito o di uno).

Oggi, per altro verso si stia andando verso una lingua comune, “lingua franca”, l’Inglese, che svolge il ruolo svolto in passato dal Latino. Le ragioni ed i connessi problemi sono stati affrontati in una specifica pagina web.

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